Editoriale

Il ponte della parola

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VALENTINA TACCHI

Il Ponte è quel mezzo di comunicazione che ha congiunto luoghi isolati ma anche il simbolo dell’unione e del legame tra persone, razze e popoli. E’ il contrario del muro e dell’isolamento. Se per Pascoli è l’ostacolo al fluire dell’acqua, per il Nobel della letteratura Andrić è segno della capacità dell’uomo di superare gli impedimenti che la vita gli pone di fronte. Per entrambi, un simbolo che collega passato e futuro, vita e morte, terra e cielo. Idealmente, il ponte infonde sicurezza, è una “mano tesa” verso l’altra sponda, un aiuto reciproco tra due parti, affinché si possano congiungere.
Ma proprio per questa sua prerogativa di unire, il ponte forte e maestoso può diventare vulnerabile e indifeso, un pericolo per coloro che vogliono isolare e dividere. E’ quel primo bersaglio di guerra che viene distrutto per rompere ogni punto di contatto. Ci sono ponti aerei come quello su Berlino che portavano  provviste o pontos della Grecia classica come spazi marini ove non si vedono le coste, il baratro dell’uomo.  Il ponte viene costruito per spingerci lontano da noi stessi, alla scoperta dell’ignoto, verso la nostra vita. Senza paura del vuoto. E’ il cammino verso la conoscenza e  il superamento dei nostri limiti. Magari per andare oltre,  come nell’antico Egitto e percorrere il passaggio della nostra anima, prepararla all’immortalità.

Il ponte è quell’incerta passerella che non tutti riescono a fare. A volte si tagliano i ponti e non si superano… Ci si ferma.

Il crollo del Ponte Morandi è anche il simbolo di ciò che stiamo vivendo. In quell’incertezza del percorso, il nostro rapporto con le istituzioni, la natura e gli altri è diventato troppo fragile. Troppo forte è il senso dell’impotenza di noi stessi verso l’ingiustizia o la presunzione, con il senso di colpa o la paura come tiranti. Crediamo pure di poter fare poco, invece, ognuno si può cambiare il destino degli altri.

Esiste un Ponte, poi, che è crollato negli argini di noi stessi. E’ quello della Parola data e delle Parole che vengono usate come arma o come aria. Si può fare e dire tutto senza onore o modo. Un intricato gioco spaziale di funi lega le nostre vite ad un sistema dove non si onorano gli impegni e le parole si dissolvono. Le catene delle scuse regolano i legami di fiducia. Il crollo delle aspettative è inesorabile come la rottura dei sostegni. Così sopravvivono costruttori di scuse che fanno ponti d’oro. Legami che si sbriciolano al passaggio di pesi insopportabili.

Oggi il Ponte della Parola non esiste più. E’ crollato come il Ponte Morandi, svuotando le nostre vite.

 Ecco allora che l’immagine di quel Ponte Tibetano sembra l’unica costruzione che possa reggere nel tempo, perché abbiamo bisogno di andare oltre noi stessi. Realizzato con sole funi ancorate alle estremità, queste si tendono al peso che aumenta.  Le persone sono importanti e lo rendono stabile. Il gruppo fa acquisire sicurezza. Un ponte-tra-culture, un ponte di legami, un ponte ove ognuno è importante ed è un sostegno anche con la sua Parola.

Intanto,  il ponte tibetano più alto d’Europa è stato inaugurato proprio in Italia a Settembre, in Val Tartano, in Valtellina, a quota 1.035 metri. Un ponte nel Cielo da record, lungo 234 metri e sospeso a 140 m. d’altezza. Una costruzione nel vuoto si può fare e che superi anche i nostri limiti. L’importante è attraversarla sempre con chi è simile a noi e percorrerla sapendo che è stato costruita con stralli di luce e verità.

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