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Lo sviluppo ed il mantenimento delle capacità resilienti in piena emergenza epidemiologica

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LUIGI DE LUCA

Nessuno era preparato

Nessuno di noi, per quanto attento e lungimirante, avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una crisi sistemica di questa portata.

E, se qualcuno può aver visto/percepito qualche prodromo di questa crisi, qualche “cigno nero” (per dirla come il filosofo Nassim Nicholas Taleb), non era affatto semplice poter prevedere l’impatto reale che questa crisi, di origine sanitaria, avrebbe avuto sul nostro sistema socio-economico.

Il margine di incertezza era elevatissimo e, per quanto potesse esserci qualche intuizione, molti di noi hanno misurato le proprie reazioni, senza lasciarsi andare all’istintualità tipica delle situazioni di emergenza, quelle che, diversamente da questa crisi, ci avrebbero colto di sorpresa e travolto all’improvviso.

Questa crisi è stata lenta e silente, quasi strisciante.

Si è nascosta tra le pieghe della nostra normalità, si è insinuata lentamente nella nostra quotidianità e, ad un certo punto, è deflagrata senza fare rumore, senza emettere luci accecanti e allarmanti.

Quando questa crisi è esplosa, era già dentro di noi, dentro il nostro organismo, dentro in nostri polmoni e, ancora oggi, continuiamo a viverla vedendone solo gli effetti sulla salute delle persone e le conseguenze sulle comunità.

Una delle caratteristiche di questa crisi è quella che i nostri sensi non possono percepire il “nemico”, non possono dargli forma, colore e sostanza.

Il virus non lo sentiamo arrivare, i nostri sensi non sono in grado di avvertirne la presenza.

E’ un nemico invisibile che non possiamo bloccare, che non possiamo afferrare e trattenere con le mani.

Non possiamo, persino, sentirlo neanche quando è dentro di noi, se non quando cominciamo ad avvertire i primi sintomi. Quei sintomi che ci danno un segnale, neanche tanto chiaro, della sua presenza.

Quanta frustrazione e senso di impotenza ci può provocare tutto questo?

Frustrazione e senso di impotenza si contrastano con la consapevolezza delle proprie possibilità, dei propri limiti, delle cose che stanno sotto al nostro controllo e di quelle che, al contrario, sfuggono al nostro controllo e, talvolta, anche alla nostra comprensione.

Le nostre azioni hanno un effetto, un’efficacia che non può andare oltre alle nostre possibilità oggettive, alla nostra sfera d’influenza, alla nostra possibilità di interagire concretamente con il contesto nel quale siamo immersi.

La sensazione di perdita di controllo

Un nemico che non vediamo e che non possiamo percepire ci fa ancora più paura, ci mette di fronte a tutta l’incertezza degli esiti delle nostre decisioni, delle nostre azioni protettive e di contrasto.

Possiamo proteggerci?? Ci stiamo proteggendo?

Quanto ci stiamo proteggendo efficacemente?

Le nostre azioni di contrasto, le nostre procedure operative, i protocolli sanitari che stiamo seguendo e mettendo in atto, sono quelli più adatti a questa circostanza?? Sono quelli più sicuri?? Sono quelli più efficaci??

Maggiore è l’incertezza delle nostre azioni, maggiore sarà il livello di ansia che dobbiamo gestire.

L’ansia, dunque, si può combattere abbassando il livello di incertezza acquisendo le informazioni (da fonti verificate e accreditate) e consolidando le competenze necessarie. Verificando e confrontando l’efficienza e l’efficacia delle procedure operative e dei protocolli sanitari che stiamo seguendo e mettendo in atto. Imparando ed utilizzare un linguaggio comune, semplice diretto e condiviso.

Imparando ad imparare velocemente “nella” e “dalla” crisi.

L’ansia è il nostro più grande nemico, è la prima cosa che dobbiamo contrastare, perché ci accompagna per mano verso una pericolosa sensazione di perdita di controllo. Controllo di noi stessi, delle nostre azioni, di quello che ci accade o che temiamo ci possa accadere.

E così l’ansia diventa l’anticamera del panico. E, il panico, è invalidante, blocca le nostre azioni e le rende talvolta incoerenti, altre volte incontrollate, per certo le rende inefficaci e disfunzionali, fino a farle diventare persino dannose, per noi stessi e per gli altri.

L’ansia va riconosciuta, accolta e gestita attraverso la consapevolezza delle proprie scelte e del proprio ruolo e contrastata con una coerenza di fondo tra pensiero, azione ed emozione che corrisponda ad un comportamento congruo e autentico, orientato al raggiungimento di un obiettivo comune.

La gestione del tempo

In questa crisi la dimensione temporale (il fattore tempo), nella nostra percezione, può subire anche una profonda deformazione.

Nella Grecia antica, il tempo veniva definito attraverso il “kronos”, il tempo cronologico, quello misurabile e oggettivabile e attraverso il “kairos” che rappresenta, invece, la nostra percezione soggettiva del tempo, il nostro sentire individuale del trascorrere del tempo.

Proprio questa è la dimensione che, oggi, risulta alterata: la nostra percezione soggettiva dello scorrere del tempo.

D’un tratto la nostra velocità di esecuzione delle cose, la nostra frenesia quotidiana, ha subìto una battuta d’arresto.

Anche le azioni che ritenevamo più banali, le nostre routine, come andare a fare la spesa o andare in farmacia, sono diventate d’un tratto attività che necessitano dell’utilizzo di uno spazio temporale diverso da quello al quale eravamo abituati. Necessitano di un tempo maggiore.

Sono le nostre routine quotidiane consolidate, quelle che garantiscono il nostro equilibrio e la nostra “tenuta” psicologica.

La tempistica della nostra giornata è stata stravolta, e non per nostra scelta. Perché ci è stato imposto da un provvedimento del Governo che, a sua volta, si è visto costretto a prendere decisioni critiche con l’intento di gestire una crisi sistemica, prolungata e complessa.

Il sistema Paese si è fermato. Con il blocco della attività commerciali e lavorative non essenziali, improvvisamente, ci siamo accorti di avere tanto tempo a disposizione. Ci siamo trovati il tempo tra le mani e stiamo sperimentando la difficoltà ad impiegarlo.

Come possiamo “riempire” questi spazi di tempo che abbiamo scoperto di avere e che ci ritroviamo durante le nostre giornate?? Giornate che adesso scorrono lente e che a differenza di qualche settimana fa erano frenetiche, compassate e stressanti.

Cosa ci facciamo con tutto questo tempo??

Possibile che ne avevamo così tanto a disposizione e ce ne stiamo accorgendo solo adesso??

Forse è arrivato il momento di riscoprire il nostro tempo, di riappropriarci delle nostre giornate e, in qualche modo, delle nostre vite??

Forse possiamo dedicare un po’ di tempo a noi stessi e agli altri, alle persone che ci sono care od anche semplicemente alle persone che possiamo in qualche modo sostenere ed aiutare??

Una cosa è certa: il tempo cronologico non possiamo modificarlo, non ci è data la possibilità di dilatarlo o comprimerlo. Possiamo solo decidere come gestirlo nel miglior modo possibile, per noi, per le persone che ci sono care e per i nostri risultati professionali.

La distanza sociale

Un’altra dimensione umana sulla quale questa crisi ha impattato in modo altrettanto pesante è quella della “distanza sociale”, quella che con una definizione tradizionale chiamiamo “prossemica”.

L’idea del distanziamento sociale (oggi necessario, fintanto che non potremmo considerare chiusa e conclusa questa emergenza epidemiologica) è entrata nelle nostre vite a gamba tesa, senza bussare alla porta dei nostri ambienti di vita, senza chiedere permesso.

Ci è stato imposto di rispettare la distanza sociale di almeno un metro, impedendoci perentoriamente di avere un qualsivoglia contatto fisico.

D’un tratto, per decreto, ci siamo trovati distanti, almeno un metro, da ogni altro essere umano.

Ci siamo trovati avvolti in un sfera di “vuoto sociale”, del raggio di un metro.

Improvvisamente le nostre “corazze” (fisiche ed emotive) hanno perso di significato. Potrebbero non esserci più necessarie.

Come possiamo colmare questa distanza sociale impostaci??

Possiamo riempire questo “vuoto sociale” con le parole?? Visto che non possiamo farlo con la fisicità dei gesti.

La possiamo accorciare con gli sguardi?? Visto che solo gli occhi emergono dalle mascherine che avvolgono buona parte dei nostri volti??

Ritorneremo a incrociare i nostri sguardi e ad imparare a “leggerci dentro” attraverso gli occhi??

Intus legere” è la radice latina del termine “intelligenza”, ovvero il dono della comprensione profonda degli avvenimenti, delle cose e delle persone.

Proviamo a riappropriamoci della nostra “intelligenza”, del tempo da dedicare alla comprensione delle cose, degli avvenimenti e delle persone che ci circondano, a sentire le loro emozioni e ad agire una ritrovata “empatia di comunità”.

Una nuova semantica comuncativa

Le parole sono importati, lo sono sempre state.

Oggi, in questa contingenza, le parole ed il modo in cui le pronunciamo o le scriviamo lo sono ancora di più.

Proviamo a ritrovare parole garbate e appropriate che possono aiutarci a colmare il “vuoto sociale” nel quale, nostro malgrado, ci troviamo immersi.

Proviamo a ritrovare parole dense di significati che accorcino le distanze tra le persone (anche se fisicamente distanti) e che siano portatrici dello stesso valore, dello stesso spessore simbolico che abbiamo sempre attribuito ai gesti di vicinanza, di affetto e di amicizia quotidiani.

Proviamo a ritrovare una semantica comunicativa da esprimere in presenza, cioè “dal vivo”, che riprenda il posto del linguaggio aggressivo e a tratti violento che negli ultimi anni ha caratterizzato la comunicazione sulla Rete ed ha rappresentato una delle derive più pericolose sui social network.

Proviamo a ritrovare parole che rimangano nell’aria per un po’ e assumano “forma” e diventino “sostanza” e che, soprattutto, prendano il posto del virus che ci sta soffocando.

Restiamo uniti

Restiamo uniti “nel” dolore e non “dal” dolore. – Restiamo uniti nella speranza e nel desiderio di rinascita.

Luigi De Luca

di Luigi De Luca – Sociologo e Counselor esperto nella relazione di aiuto

luigideluca.vf@gmail.com  . @luigideluca_vf

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