Salute mentale e legalità, i venti che spingono la barca a vela
Salire in barca per affrontare il mare d’acqua e quello metaforico dell’esistenza e imparare a manovrare il timone della propria vita sulla giusta rotta, insieme agli altri membri dell’equipaggio. “La barca è una cassa di risonanza emotiva, dove le emozioni vengono condivise, e un moltiplicatore di dinamiche relazionali”, spiega a Interris.it la psicologa Francesca Andreozzi, socio fondatore e presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Centro Koros di Catania, nipote del giornalista siciliano vittima di mafia Giuseppe Fava e presidente della fondazione che ne porta il nome. Salute mentale e legalità i suoi punti cardinali nella navigazione e i “tesori” dell’isola che vuol far trovare a chi segue percorsi in barca a vela, che si tratti di un caso di disagio giovanile come di minori in regime di messa alla prova.
Equilibri e prospettive
L’esperta lavora molto con i giovani e da quando ha avuto l’idea di utilizzare la barca a vela come setting terapeutico gli propone di salire a bordo. “Quando ti manca fisicamente la terra sotto i piedi devi reimparare a camminare e ad acquisire nuovo equilibrio, inoltre vedere la riva distante è come allontanarsi dalla propria vita e guardarla da un’altra prospettiva, mentre il paesaggio intorno cambia. Questa situazione può stimolarci a cambiare la narrazione della nostra vita e a cercare di nuove soluzioni”, illustra. Durante un’uscita in mare è fondamentale essere presenti fisicamente, psicologicamente ed emotivamente, nell’alternanza tra momenti concitati e altri in cui l’attività rallenta e c’è tempo per l’introspezione e l’autoanalisi.
Effetto terapeutico
La condivisione dell’ambiente e la suddivisione dei compiti sono i meccanismi che portano i partecipanti a uscire dalle proprie zone di comfort per adottare comportamenti più funzionali alla loro condizione e al contesto. “In uno spazio ristretto la cooperazione, la collaborazione e il riconoscimento dell’altro hanno un potente effetto terapeutico. Se nella vita quotidiana siamo individui isolati con il nostro smartphone, sulla barca a vela il contatto fisico è presente in una modalità a cui non siamo più abituati”, prosegue Andreozzi. Si effettua anche una valutazione dell’esperienza, pure in corso d’opera. “La sera abbiamo sempre un momento di elaborazione della giornata” – continua – “in cui chiediamo ai ragazzi di dirci come sono stati e quello che gli è successo, scrivendolo sul diario di bordo o parlando a turno”. Aggiungendo: “Quelli con cui rimango in contatto mi hanno detto di essersi percepiti quando hanno tenuto il timone. Si sono sentiti in grado di assumere la responsabilità di portare la barca e hanno visto che gli altri si sono fidati di loro”.
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