Messa alla prova limiti e finalità rieducativa del processo minorile.
PAOLA PICCIOTTO
La messa alla prova, nel processo penale minorile, è prevista dall’art 28 del D.P.R. 448/1988 e prevede la sospensione del processo e l’affidamento del minore al servizio sociale.
I presupposti necessari sono l’evidenza della responsabilità penale del minore, con ammissione dei fatti, nonché la valutazione prognostica sul processo di cambiamento in positivo della personalità del minore .
Successivamente verrà poi predisposto un progetto rieducativo da parte del servizio sociale i quali si occuperanno anche del sostegno del minore sino alla fine del percorso.
A tale progetto, valutato dal Tribunale per i minorenni in base al caso concreto, seguirà la sospensione del procedimento penale. Sospensione che ha una durata massima di anni 3 per i reati più gravi e di anni 1 per tutti gli altri reati.
La messa alla prova può avere un esito positivo o negativo in base al comportamento tenuto dal minore e all’evoluzione della sua condotta; qualora positivo il reato contestato si estinguerà con alcuna conseguenza penale per il minore;nel caso in cui sia negativo invece, la messa alla prova è revocata e il processo riprenderà dal momento in cui si era interrotto.
Tale procedura può riguardare qualsiasi reato, anche quelli più cruenti.
Tuttavia merita menzione l’art. 28, comma 5-bis, introdotto dal c.d. decreto Caivano del 2023 che esclude la messa alla prova minorile nei confronti degli imputati per i delitti di violenza sessuale ex art. 609 bis e di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p., limitatamente alle ipotesi aggravate ex art. 609 ter c.p. nonché per omicidio e rapina aggravata.
In merito solo pochi giorni fa è stata sollevata la questione di illegittimità costituzionale da un giudice del Tribunale per i minorenni di Roma
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