Il grido comune di ebrei e arabi: la maggioranza rifiuta la guerra
AVVENIRE – «Come mettere fine all’intollerabile bagno di sangue a cui assistiamo? Tutto, in definitiva, si riduce a questa domanda. La risposta è sul tavolo da tempo. Non occorre inventare nulla di nuovo. Ci vogliono, però, leader che abbiano il coraggio e la lungimiranza di agire di conseguenza “.
Ne è convinto l’ex premier israeliano Ehud Olmert, a lungo pilastro del Likud e fondatore del partito centrista Kadima nonché braccio destro di Ariel Sharon, poi costretto alle dimissioni in seguito alla condanna per l’accusa di tangenti, sempre negata dall’interessato. Difficile definirlo un “pacifista naif”.
Eppure, da mesi, a livello nazionale e internazionale, a rilanciare i negoziati di pace tra i rispettivi popoli basati sulla soluzione dei due Stati, insieme all’ex diplomatico palestinese Nasser al-Kidwa. «Sapevamo entrambi l’uno dell’altro ma non ci eravamo mai conosciuti prima dell’anno scorso. Fin dal primo incontro, online, abbiamo scoperto di concordare su molte cose – prosegue Olmert –. Prima fra tutte l’urgenza di liberta, autodeterminazione, sicurezza per le genti che abitano la terra fra il Giordano e il mare». Proposta che entrambi presenteranno al People peace summit in programma oggi e domani a Gerusalemme.
In uno dei momenti più tragici dal 7 ottobre 2023, oltre sessanta organizzazioni della società civile di Israele e Palestina, riunite nella coalizione “It’s time”, hanno deciso di lanciare un potente grido di resistenza nonviolenta al bellicismo imperante. E di portare, con l’aiuto di analisti, esperti, diplomatici, artisti, alternative concrete alla guerra senza fine propagandata dal governo di Benjamin Netanyahu e da Hamas. Una posizione, per altro, sostenuta dalla maggioranza dell’opinione pubblica: i due terzi di israeliani e palestinesi chiedono un accordo. «Prima o poi dovremmo fermarci. Il punto è quante altre vite saranno distrutte nel frattempo», sottolinea al-Kidwa, nipote di Yasser Arafat e vicino al detenuto- simbolo di Ramallah, Marwan Barghuti. «Per questo è necessario un cambio di leadership – reale, non un ritocco di facciata -, sul fronte palestinese come su quello israeliano – afferma –. Quelle attuali sono responsabili del disastro attuale”. “Allo stesso tempo, dobbiamo mobilitare i cittadini. Da qui l’idea di un coordinamento tra le varie realtà attive per la pace», affermano Maoz Inon e Aziz Abu Sarah, l’uno israeliano e l’altro palestinese che, dopo il 7 ottobre, hanno fondato Interact international, per promuovere il dialogo. L’esperienza di Paesi usciti da conflitti apparentemente senza soluzione può essere cruciale. Non a caso, al People peace summit ci saranno Monica McWilliams e Avila Kil Murray, pilastri dell’Accordo del Venerdì Santo che ha messo fine allo scontro in Irlanda del Nord.