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Migranti in Albania, ok definitivo del Parlamento all’accordo. La bocciatura della Cei: “673 milioni di euro buttati in mare”

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AVVENIRE – Con un verdetto che senza eccezione indica la strada alla giurisprudenza, a cui dovranno conformarsi tutti i tribunali italiani, i giudici hanno bocciato il ricorso del comandante della “Asso 28”, il rimorchiatore di servizio presso alcune piattaforme petrolifere ritenendolo colpevole dei «reati di abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone», previsto dal Codice della navigazione.

«Trovandosi in acque internazionali, a bordo del natante a supporto di una piattaforma petrolifera, dopo aver rilevato, in prossimità della piattaforma medesima, la presenza di un gommone con 101 migranti a bordo, consentiva il trasbordo delle persone sulla imbarcazione». Una operazione di soccorso che però si sviluppò in modo misterioso. 

Fu una inchiesta giornalistica di “Avvenire”, grazie alle informazioni raccolte tra diversi naviganti e alle comunicazioni radio registrate dalla nave del soccorso civile “Open Arms”, a smascherare una pratica su cui la Cassazione ha posto una parola definitiva. «L’imputato prestava immediato soccorso ai migranti, tra i quali erano presenti donne in gravidanza e minori di anni quattordici – si legge nella sentenza -, omettendo di comunicare nella immediatezza, prima di iniziare le procedure di soccorso, ai centri di coordinamento e soccorso competenti, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico delle persone, agendo in violazione delle procedure previste per le operazioni di soccorso».

Inoltre ometteva «di identificare i migranti, di assumere le informazioni in ordine alla loro provenienza e nazionalità, sulle loro condizioni di salute, di sottoporli a visita medica, di accertare la loro volontà di chiedere asilo, nonché di accertare se i minori fossero accompagnati o soli». Ma questo è il meno. Ricevendo indicazioni via radio da un funzionario mai identificato di una azienda privata, anch’essa rimasta sconosciuta alle indagini, e dei quali il capitano non ha mai voluto rivelare l’identità, il rimorchiatore anziché dirigersi verso l’Italia prese la rotta della Libia dove «riconduceva i 101 naufraghi imbarcati, facendoli trasbordare su una motovedetta libica, procurando ad essi un danno grave, consistente nel loro respingimento collettivo, quale condotta vietata dalle convenzioni internazionali».

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