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ll patto con l’Albania sui migranti si complica: Rama non ne prende più di 3 mila (e a caro prezzo)

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ruxelles. Dopo il debutto col botto, l’epopea del patto Italo-albanese sull’esternalizzazione della gestione delle richieste d’asilo entra nei dettagli e si scopre che la trama potrebbe non essere così avvincente come il trailer aveva fatto sperare. A difendere l’intesa voluta dal governo Meloni, che prevede l’istituzione di due centri di identificazione in Albania “dove lavorerà solo personale italiano e si seguiranno standard europei di rispetto dei diritti”, ci ha pensato il vicepremier Antonio Tajani venuto martedì alla Camera per le comunicazioni del governo sul tema della riforma migratoria. “Questo protocollo non è paragonabile all’accordo tra Regno Unito e Ruanda”, ha spiegato Tajani alludendo al progetto voluto dal premier inglese Rishi Sunak che prevedeva il trasferimento di migranti dalla Gran Bretagna al Paese africano in centri gestiti da personale locale. Un piano costato a Londra 140 milioni di sterline finora senza che nessuno sia ancora stato trasferito. Il progetto pensato dal governo Meloni “è diverso” sottolinea Tajani, “non c’è esternalizzazione a un paese terzo della gestione delle domande di asilo. E non c’è alcuna deroga ai diritti internazionalmente garantiti”. Verrebbe dunque da pensare che si tratti solo di un comodato d’uso di una spiaggia dall’altro lato dell’Adriatico e infatti stando alle carte, l’Albania concederà gratuitamente all’Italia due aree, un punto di arrivo al porto di Shengjin, nella costa settentrionale del paese, e una base militare a Gjader a circa 30 chilometri dal porto.

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